O vos, est aetas. L'inno di UniBg

In occasione della cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico 2025-26, lo scorso mercoledì 26 novembre 2025 nell'Aula Magna della sede di Sant'Agostino è stato eseguito per la prima volta e presentato alla comunità accademica e al pubblico l’Inno ufficiale dell’Università degli studi di Bergamo, elaborato dai proff. Paolo Cesaretti e Francesco Lo Monaco con il prof. Virgilio Bernardoni, su musica del M° Maurizio Stefanìa.

Il testo

Quatuor urbs oris portis patet ipsa quaternis,
interius grummis [..] edita ternis;
Inter eos plures linquit natura plateas,
quis pueri faciunt ludos nimpheque choreas.[1]

O vos, est aetas, iuvenes, quibus apta legendo,
Discite: eunt anni, more fluentis aquae.
Floreat in studiis virtutum prima iuventus,
Fulgeat ut magno laudis honore senex.

Disce tuas, iuvenis, ut agat facundia causas,
Ut sis defensor, cura, salusque tuis.
Disce, precor, iuvenis, motus moresque venustos,
Laudetur toto ut nomen in orbe tuum.[2]

Undique gentium docentes, gloria vobis!
Gloria vobis, discentes![3]

 

Traduzione  

La città si apre verso le quattro regioni del cielo
con quattro porte: si eleva su tre colli, la città.
La natura ha disposto spazi aperti tra i pendii,  
lì giocano i fanciulli, lì danzano le ninfe. 

Giovani, la vostra età è fatta per imparare,
nello studio dateci dentro: il tempo passa via come acqua!
Fiorisca la vostra prima giovinezza in cerca di virtù,
poi l’età adulta risplenderà di grande onore e gloria.   

Imparate da giovani, così l'eloquenza sosterrà le vostre ragioni 
e per i vostri cari sarete protezione, rimedio e salvezza.
Impara, ti prego, da giovane, un carattere e un comportamento gentile,
e il tuo nome sarà lodato in tutto il mondo.

Da dovunque veniate, docenti, gloria a voi! 
Gloria a voi, studenti!

 

Note

[1] Versi 1-4 tratti da MOSÈ DEL BROLO, LIBER PERGAMINUS: riferimento specifico a Bergamo (con il “gromo”).
[2] Versi 5-12 tratti da da ALCUINO, CARMINA: elogio dello studio.
[3] Versi 13-14: acclamazione finale, di invenzione, per chiudere in un solo, sintetico cerchio di universalità, docenti e studenti.

La genesi

Da più parti, sin da fine 2024, si aspirava a far sì che l’Università di Bergamo si dotasse di un inno suo proprio. Attenzioni istituzionali erano maturate per ai più alti livelli della governance. Intanto il prof. Lo Monaco aveva sottolineato come il testo del famoso Gaudeamus igitur – forse ancora appropriato per poche città universitarie di tradizione plurisecolare, se non altro per ragioni storiche – contenesse parti stridenti rispetto alle attenzioni inclusive cui l’Università di Bergamo vuole essere sensibile. Nel contempo il prof. Cesaretti e il M° Stefanìa segnalavano quante siano nella tradizione europea le sedi culturali che si avvalgono di musiche e testi composti ad hoc per marcare anche emotivamente ed esteticamente la loro vocazione. Nel prof. Bernardoni essi trovavano ascolto partecipe e la capacità di raccordare tutto in un progetto unitario. Così, nella primavera-estate del 2025 i diversi filoni si sono incontrati, ferma restando la predilezione del M° Stefanìa – largamente condivisa – per una proposta musicale fortemente allusiva alla tradizione alta del barocco, opportunamente rivisitata.

Cesaretti e Lo Monaco si sono trovati subito d’accordo sulla necessità di un testo latino e lo hanno elaborato “mosaicando” 4 versi di Mosè del Brolo e 8 di Alcuino di York. Il primo fu intraprendente figura di contatto fra Bergamo e l’Oriente bizantino costantinopolitano, dove visse e operò, fra altro, in qualità di traduttore dal greco. Il magister Moyses volle, sul principiare del XII secolo, tessere una lausdella propria città, descrivendone luoghi, tradizioni e costumi, all’alba del nascente Comune. Il secondo, uno degli intellettuali più significativi dell’Europa carolingia, mise in connessione la grande tradizione – anche pedagogica – anglosassone (erede di Beda il Venerabile) con la nuova cultura del continente, che andava rinascendo sotto la spinta illuminata di Carlo Magno.

Si è dunque pensato a una sintesi di valori che includa tanto l’orgoglio di una comunità quanto la dimensione sovranazionale ed europea: da qui l’acclamazione finale, fulcro di questo progetto sincretico.

(Da aggiungere che gli esametri di Mosè e i distici dei versi di Alcuino sono affini, ma non identici, dal punto di vista metrico, ciò che conferisce ulteriore coerenza al “mosaico” e si presta a una acconcia interpretazione musicale.)

Quanto alla traduzione: è volutamente, quasi provocatoriamente, espressiva. 

Paolo Cesaretti, docente di Civiltà bizantina

La musica
Inno UniBg

L’inno universitario di maggiore diffusione è noto sotto il titolo De brevitate vitae, o più comunemente Gaudeamus: un brano anonimo, di origine incerta, attestato sul finire del XVIII secolo nella raccolta di Studentelieder curata da un teologo protestante, Chrétien Wilhelm Kindleben. 

È un’ode alle gioie della vita, da cogliere finché l’età e il tempo lo consentono, alle donne “facili” e “belle”, all’accademia e ai facoltosi mecenati che la finanziano, allo stato e a chi lo governa; riconosciuta in molte nazioni come inno internazionale degli studenti.

Anche in considerazione del tono goliardico del Gaudeamus – il cui testo a tratti può apparire sconveniente alla sensibilità contemporanea – il Magnifico Rettore prof. Sergio Cavalieri e la Prorettrice vicaria prof.ssa Piera Molinelli hanno prima sollecitato e poi seguito passo passo la nascita dell’Inno dell’Università degli studi di Bergamo che tra poco avremo la possibilità di ascoltare per la prima volta.

Si tratta di un brano concepito per quattro voci soliste, coro e orchestra, composto dal maestro Maurizio Stefanìa sul testo elaborato dai professori Paolo Cesaretti e Francesco Lo Monaco, i quali hanno selezionato due diverse fonti di poesia latina medievale e le hanno connesse “a mosaico”, allo scopo di caratterizzare la nostra Università nell’intersezione di radici locali e vocazione universale, sovranazionale ed europea.

L’insieme si articola in tre sezioni cantate, scandite da preludi e interludi dell’orchestra. La prima funge da Prologo e si basa su quattro versi estrapolati dal Liber pergaminus di Mosè del Brolo: un intraprendente intellettuale del XII secolo che operò come cerniera culturale fra Bergamo e l’oriente bizantino. In sintesi estrema, vi si delineano alcuni tratti caratteristici della città (le quattro porte spalancate verso “le quattro regioni del cielo”, i colli) e si accenna alla cornice apparentemente bucolica dei suoi “spazi aperti” in cui “giocano fanciulli e danzano ninfe”. Il maestro Stefanìa ha preso spunto da quest’ultima immagine per  incastonare nella musica la melodia di una canzone popolare (una “Passione di Cristo” che inizia con le parole Madre Maria andava per una via) ancora attestata nel territorio bergamasco negli anni Sessanta del Novecento, al tempo in cui nasceva questa Università.

La seconda sezione è il cuore innodico del componimento ed è svolta in due strofe di canto lineare e disteso, intonate sulle quartine tratte dall’elogio dello studio espresso in uno dei Carmina di Alcuino di York, il pensatore e teologo che fu consigliere alla corte di Carlo Magno. Contiene l’esortazione a conquistare le vette più elevate del sapere (qui sintetizzate  nell’eloquenza) e a coltivare la virtù e la socialità a vantaggio della città e del mondo.

Nell’ultima sezione, infine, il coro intona con animata solennità la laudatio conclusiva di studenti e docenti provenienti “undique gentium”: come dire dalle quattro regioni del mondo – occidente e oriente, settentrione e meridione – verso le quali si aprono le porte della città. L’inno si chiude così con un ritorno dell’immagine di apertura, e la popola di quell’umanità che è protagonista e sostanza dello studio e della ricerca e rende l’Università luogo di scambio e di condivisione.

Il titolo assegnato al componimento – O VOS, EST AETAS – intende innanzi tutto rimarcare il tono esortativo della sezione intermedia. Un invito che la formulazione completa del testo di Alcuino – O vos, est aetas, juvenes – rivolge a un destinatario ben determinato. E che però nella forma contratta del titolo potremmo anche liberamente interpretare come “O voi tutti, è il vostro tempo”: un incitamento all’Università tutta ad essere nel tempo, per viverlo, interpretarlo, costruirlo in proiezione. 

Il maestro Stefanìa, la cui predilezione per i modelli compositivi alla Bach o alla Haendel è fuori discussione, isola la forma contratta con una figura melodica semicircolare, che delinea una curvatura prima ascendente e poi discendente, tesa tra due suoni fra loro identici, posti rispettivamente al principio e alla fine dell’inciso. 

Applica così una possibile declinazione della figura della “circulatio”, che la retorica musicale settecentesca concepiva come simbolo sonoro di ciò che è perfetto e compiuto. Un ammiccamento colto, per una melodia in sé semplice e di immediata presa, che attende soltanto di diventare la via di accesso musicale all’identificazione col nostro inno.

Virgilio Bernardoni, docente di Musicologia e storia della musica