Nel dibattito antropologico e sociologico, una nozione filosofica ha attirato recentemente tra le studiose e gli studiosi sempre più interesse, ovvero quella di «forma di vita». Già presente nella letteratura wittgensteiniana, essa è stata rielaborata in svariate direzioni negli ultimi decenni. L’uso e l’analisi che ne ha fatto il filosofo analitico Stanley Cavell, ereditato dai lavori di Veena Das, ha segnato uno spartiacque nella considerazione dell’utilità euristica di tale nozione. Tra i tanti che a essa si sono rivolti, Richard Rechtman, antropologo e psichiatra francese, ne ha fatto una lente privilegiata per comprendere la costituzione di specifiche soggettività - in particolare, quella dei carnefici - all’interno di un orizzonte di quotidianità. Sono le cosiddette «forme di vita ordinarie» che, quindi, diventano un prisma interpretativo delle pratiche di violenza contemporanee, istituendo i presupposti di una rivoluzione epistemologica nell’ambito delle scienze umane e sociali. Approfittando della traduzione italiana degli ultimi volumi pubblicati dal Prof. Rechtman (La vita ordinaria dei carnefici, Einaudi, 2022; Le viventi, Ledizioni, 2023), verrà approfondita, anche in maniera critica, l’uso che è stato fatto di questa nozione.